PALERMO - FESTIVAL GENÌA - 29 OTTOBRE 2024


 

 

PALERMO - FESTIVAL GENÌA - 29 OTTOBRE 2024

 

“… In vari momenti avevo la sensazione di ‘ringere’ cioè ridevo e piangevo, perché mi commuoveva tantissimo questo rapporto con il corpo”.

La prima volta di Svelarsi in Sicilia, a Palermo, può essere racchiusa tutta nelle parole di questa donna, al termine dello spettacolo.

E nelle parole, prima dello spettacolo, del direttore artistico del Festiva Genìa, Sabino Civilleri, che ci ha salutate così al Teatro Garibaldi: “Grazie per essere qui, sono onorato di accogliere Svelarsi”. Ed è forse la prima volta che un uomo di teatro, un addetto ai lavori, ci ringrazia di cuore senza fare battute o riferimenti al fatto che lui non potrà vedere lo spettacolo.

Un neologismo inventato da una delle nostre spettatrici e i complimenti di un uomo per il progetto. Come sa stupirci, questo lavoro, e regalare nuovi sguardi su ciò che crediamo di sapere già. 

Molte altre sono state le parole belle e gli occhi grati e gli abbracci caldi. Gli occhi e gli abbracci li conserviamo nella memoria, le parole abbiamo il piacere e la responsabilità di condividerle con Voi: 


 “Com’è stato assistere a Sverlarsi? Noi abbiamo parlato tanto, adesso è il vostro turno”:  

-              Liberatorio!

-              Mi sono sentita in colpa… per essere vestita, però!

-              Io volevo sapere: perché le donne in questo spettacolo, che gli fa bene certamente, e gli uomini no?

 

Silvia: Noi rispondiamo sempre così: che non parliamo degli assenti. Però rispondete voi, noi abbiamo tutta una serie di risposte, che poi dopo se vuoi ti diamo, ma vorremmo sentire che ne pensate voi.

 

-              Sono assenti perché è uno spettacolo per donne. È liberatorio.

-              Secondo me invece è stato proprio bello questo. Di essere solo tra noi, per la prima volta.

-              Questo spettacolo ha creato un’intimità speciale ed è inutile che le donne neghino che tra gli sguardi di donne ci sia un’intimità differente, cioè si parla di altre cose. E comunque noi perché ci sentiamo in colpa di escludere gli uomini? Se gli uomini hanno escluso gran parte dei temi femminili per tanto tempo? Ora qui non è un 'esclusione fatta in modo cattivo, violento, è soltanto: scusa, posso stare un po' da sola? E questo è un diritto, non abbiamo chiuso le porte. Per esempio, io so che fuori ci sono gli altri soci di Genìa, che stanno aspettando (che rosicano!) per sapere che cosa abbiamo fatto. Ma così come fa mio marito quando mi chiudo in bagno e non sa cosa faccio. Però quel momento è sacrosanto. Perché ci sentiamo in colpa di prenderci un momento sacrosanto per noi? Dopo tutti questi anni, millenni. 

-              Per me non è il senso di colpa. A me sta benissimo, anche io lo faccio, esco con le amiche, stiamo solo tra donne. Però nella retorica… anche le ricorrenze, la violenza con le donne e allora c’è lo spettacolo sul femminicidio. Cioè gli uomini non si prendono la responsabilità di affrontare questi temi e la demandano a noi, che abbiamo anche questo compito. 

-              Però perché ci dobbiamo sempre porre il problema degli uomini?

 

Silvia: però per portare un punto su questa cosa: negli ultimi anni sono nati molti cerchi di uomini, tanti gruppi di uomini che stanno ragionando su quello su cui ragioniamo qua. Quello che noi diciamo è proprio questo: gli uomini dovrebbero farsi il loro spettacolo per ragionare loro sui loro corpi e su quanto il patriarcato faccia effetto sul loro vissuto. Questo in cui siamo invece è un consesso che ci racconta quello che viviamo noi come costrizioni. Inoltre mi sembra che tutte queste cose le diciamo anche agli uomini già da abbastanza anni. Direi che possiamo anche smettere con questo lavoro di cura: già fatto, C 'è fior fior di libri, di film, se vogliono si possono anche fare una cultura da soli senza che li prendiamo per mano. E poi dobbiamo anche uscire dall’idea che poverini dobbiamo occuparcene noi perché non sono capaci. Che si prendano le loro responsabilità, qualcuno lo sta già facendo, sarà un percorso lento. Devono ragionare loro su quello che a loro crea delle difficoltà, nei loro corpi, nella società, in quanto maschi, in quanto uomini, in quanto portatori dell'elemento dell'essere privilegiato. È molto più difficile andare a destrutturare una posizione di potere, ovviamente, è ovvio che ci metteranno di più, però insomma se ne devono anche un po' occupare loro.

 

-              Io a tratti ho provato imbarazzo per le debolezze che sono uscite fuori: il rapporto con la madre, le nostre amiche. Spesso siamo noi le prime critiche, le prime persone che puntano un dito. Il modello femminile che vuole abbandonare la debolezza, che vuole abbandonare le mestruazioni, il mal di testa, la fase premestruale, “ho la maternità, non posso lavorare per sei mesi, mi devo mettere da parte per un po’”. Quindi stasera questa potenza io l’ho trovata forzata, nel senso, non che non ci sia, ed è stato bellissimo, però nella vita reale, tutti questi applausi tra noi non ci sono. Se lei è bella, non sono bella io, se lei è brava, io mi prendo un calcio in culo. Prendersela con gli uomini io credo che sia riduttivo. E quella cosa di oggi, di ballare insieme, non so quanto nella vita reale…magari ce l’abbiamo con le nostre amiche, ma non ce l’abbiamo con nostra madre o con nostra sorella o con le nostre colleghe. Rendere reale l’occhiolino tra di noi nella vita di tutti i giorni potrebbe essere un valore aggiunto.

-              Buona indicazione, grazie

-              Forse questo momento serve proprio a questo

-              Esatto

-              Volevo riagganciarmi a quello che diceva la mia collega. Perché io sono una danzatrice di tango argentino. Per danzare ho bisogno di un leader, che normalmente è UN leader. Il tango argentino è una roba bellissima. Idealmente. In realtà è uno dei mondi dell’arte più machisti e maschilisti che possano esistere. E la cosa peggiore è che le peggiori maschiliste sono le mie colleghe donne. Le cose più brutte, gli schiaffi più brutti, gli sgambetti, mi sono sempre stati fatti da donne, da mie colleghe donne. La solidarietà femminile l’abbiamo un po’ persa. 

-              Allora io ho una domanda: l’avete provata stasera? 

-              Sì!

-              E vi ha fatto venire voglia di dire "ma forse si vive meglio così, invece che a sgomitarsi tra di noi?”

-              Parte dal fatto di mettersi a nudo. Come cosa metaforica e come cosa vera. Che poi alla fine si è uguali. 

-              Siamo uguali nelle nostre differenze. Siamo tutte belle.

-              Infatti, la cosa potente è il fatto he escludendo un po' gli uomini abbiamo potuto nutrire ancora in pubblico quella complicità che ci viviamo tra amiche e vedere voi che fate quello che io faccio davanti al mio specchio… vai, non sono sola. Ed è bello condividere con tutte le persone che conosco, le mie amiche… cioè… questo lo facciamo anche noi, e questo (gesti sul corpo). Vederselo lì è stupendo e soprattutto perché: ma sono bellissime! Allora forse pure io… Ed è bello anche perché questo modello femminile al quale aspiriamo, lo vediamo anche fuori di noi. Quando ci sentiamo una merda e vediamo lei e diciamo “cazzo oggi è bellissima e io sono una merda” E quella cosa siamo noi con noi. E il fatto di poterci specchiare e trovarci belle pur nelle imperfezioni è stupendo. Noi siamo per esempio un gruppo di ragazze, non ci spogliamo ma tra un pochino lo faremo anche noi. Quindi da un lato c’era questo rivedersi: uh guarda ce n’è altre di pazze! Questo riconoscersi. E poi, e ovviamente questa è la magia del teatro, che rende le cose… cioè quello che viviamo tra di noi è la verità, perciò questa è una verità che approfitta del palcoscenico e quindi diventa eterna. E questa cosa è straordinaria. E io in vari momenti avevo la sensazione, come dico io di “ringere”, cioè ridevo e piangevo, perché mi commuoveva tantissimo questo rapporto con il corpo. Questo fatto di sentirsi sempre inadeguate. Io sono ossessionata da questa cosa. Vedendo tutte queste donne, tutte peraltro così diverse, tutte bellissime e tutte lì con sta panza e vederlo moltiplicato. Perché noi tra di noi amiche lo facciamo, ma il fatto che fossimo in 150 mi ha commosso. Mi ha commosso non solo per l’effetto solidale ma per la fragilità. Allora mi sono detta: e se ce ne fottiamo un po’? Io lo dico a me. Ma se me ne fottessi un pochettino? Quella cosa secondo me è uno degli obiettivi che avete raggiunto con la teatralizzazione di questa cosa, con grandissima ironia, comicità, ma con una profondità veramente molto forte.

 

-              Io quello che mi porto a casa è il discorso sulla madre perché credo sia nostra

responsabilità spezzare questo filo di omertà, di sacrificio, di passività. Io sono figlia di una madre che si è solo sacrificata, la madre di mia madre si è solo sacrificata. Nel bigottismo della religione, rifugiandosi in quella roba. E la madre della madre di mia madre è stata uguale. 

-              E tu? 

-              E io sono completamente diversa!

Applauso

-              Anche ad esempio nel lavoro, ci sono le donne che lavorano e che si sentono in colpa. Mia mamma, per esempio, ha sempre lavorato da quando ero piccolissima e io l’ho sempre vista molto poco. Mia mamma è un po’ quell’ideale di donna MA uomo, quindi proprio la cosa peggiore! E mia nonna diceva: “ma cosa vai a lavorare che hai già un marito? Rimani a casa! Stai coi tuoi figli! Guarda che la famiglia è una cosa importante!” E la mia bisnonna tutte le volte che veniva mi raccontava sempre questa cosa qua. E come la spezziamo questa roba qua? Andando a lavorare ricalcando quel modello? O troviamo un modo nostro? 

-              Come lo spezziamo? 

-              Io parto da questo spettacolo dicendo che è lo spettacolo più bello a cui sia stata per ora, vabbé ne ho visti pochi, però è la base da cui voglio partire per levare ogni sorta di contro giudizio su di noi.

 

Silvia: noi ci teniamo molto, e ce lo dicono in molte dopo lo spettacolo, ci teniamo molto a stanare lo sguardo giudicante che abbiamo in noi anche se non abbiamo accanto uno sguardo maschile. Stare solo tra donne è anche un trucco per far vedere a noi stesse quanto abbiamo introiettato quello che critichiamo, riconoscendolo solo sugli uomini, o su certe donne che definiamo maschiliste, sessiste, fasciste, come Giorgia Meloni. Lo spostiamo fuori di noi. Invece il punto, la difficoltà, il motivo per cui è difficile liberarsene è proprio che ce l’abbiamo dentro. Anche se lo notiamo, se lo sgamiamo, ce l’abbiamo lo stesso. Molte donne dopo lo spettacolo ci dicono che quando comincia la coreografia iniziale la loro reazione è di dire: “ah ma guarda quella che tette grosse che ha, e quell’altra che cellulite” e poi alla fine dello spettacolo, non so se ce lo confermate, ogni difetto è diventato un tratto della personalità di ognuna, siamo diventate tutte diverse e tutte belle perché tutte diverse, con tutti i difetti che abbiamo. E quindi ci diciamo: pensa te quanto le ho giudicate e quindi quanto mi giudico. Quanto questa cosa la vedo fuori ma in realtà ce l’ho dentro. Anche io sono femminista ma ogni tanto faccio delle cose che non definirei femministe. Perché il femminismo è una pratica, non è una cosa acquisita una volta per tutte. Questo è anche uno dei motivi per cui tutto quello che il movimento femminista ha acquisito non lo possiamo dare per scontato. Dobbiamo continuare a tenerlo vivo. Ecco, ho fatto la predica, vedi? Finisce sempre così…

 

-              Io, per esempio, mi sento invasa dal sentimento di sorellanza, quindi vado un po' contro corrente rispetto a chi dice che molto spesso le donne sono magari nemiche: questo pensiero l’ho abbandonato e penso che possa essere pure tossico. Nella mia esperienza personale, ad esempio, la mia vecchiaia è direttamente proporzionale con il senso di sorellanza. Cioè, a volte quando io mi ritrovo a essere sola con le mie amiche senza il mio compagno oppure quando qualcuna dice "no, mio marito stasera è occupato”, io dico “sì, siamo solo noi”, sono estasiata. Allo stesso tempo durante lo spettacolo in molti momenti mi sentivo oppressa rispetto a quanto ancora la tossicità maschile in tantissime forme, magari non esplicite, abbia un ruolo così devastante su di me. Quindi io non penso che il mio sguardo sul mio corpo sia il più cattivo, è sempre il commento del collega, il commento dell'amico il peggiore. Mi sento di dire che non sono sicura che siamo noi donne le peggiori nemiche di noi stesse, né tanto meno, siamo le nemiche delle altre, che siamo noi che giudichiamo. Mi sento di dire che almeno questo senso di colpa, io non ce lo voglio avere. Molto spesso purtroppo sento che sono gli sguardi degli uomini i più pesanti, le cose che dicono, i commenti che fanno. Quindi che bello essere tra donne, forse il problema non siamo noi contro di noi o noi contro noi stesse. Possiamo essere non politically correct in questo. Perché spesso diciamo: siamo noi le peggiori nemiche… NO! Non siamo noi.

 

 

 

 


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